Gli ITP sono figli di un dio minore? La valenza della didattica laboratoriale

Michele Aglieri, intervento al convegno nazionale 'Gli ITP sono figli di un dio minore?'


01 Dicembre 2013 | di Michele Aglieri

Gli ITP sono figli di un dio minore? La valenza della didattica laboratoriale
Per una definizione, prendiamo quella riportata da Maria Grazia Caputo nel Dizionario di scienze dell'educazione della Università Pontificia Salesiana: il laboratorio ''evoca un ambiente provvisto di strumenti e materiali idonei, e una situazione (anche temporale) che richiede alle persone una partecipazione diretta per sperimentare e produrre risultati. Il laboratorio è di fatto un metodo attivo di apprendimento che chiama in causa l'alunno perchè personalmente o in gruppo sperimenti e lavori su un proprio apprendimento in un ambiente idoneo avendo a disposizione un supporto preparato dall'insegnante'' . Questa definizione ci aiuta a rappresentare il laboratorio non soltanto come luogo scientifico, ma anche come metodo didattico pensato con un obiettivo educativo e che richiede una serie di competenze specifiche e un'esperienza da parte dell'insegnante. Il termine ''laboratorio'', giova ricordarlo, oggi viene molto utilizzato anche in contesti estrascolastici sia nel lavoro di educativa territoriale con i giovani e gli adulti sia nel campo della formazione professionale a vari livelli. Si tratta, quindi, prima di tutto di un dispositivo didattico-pedagogico.

Ornella Gelmi in una pubblicazione recente puntualizza che ''con la parola laboratorio [...] il senso comune ha spesso inteso, con tutte e connotazioni fredde e negative che porta con sè, semplicemente un locale attrezzato per un'attività specifica, tecnica o scientifica, di carattere sperimentale e produttivo [...] Il laboratorio [...]'', puntualizza, ''è piuttosto un luogo sociale e cooperativo, un contesto di apprendimento privilegiato dove i soggetti hanno la possibilità di partecipare attivamente alla costruzione delle proprie conoscenze e dove è possibile scoprire la complessità del reale che non è mai riducibile ad un qualche schematismo più o meno disciplinare. Si tratta quindi di un ‘luogo' dove si snoda un itinerario euristico che è paradigma di azione riflessiva e di ricerca integrata ed integrale'' .

Cosimo Laneve nell'Introduzione a una pubblicazione del 2005, parla dei modi e dei luoghi del laboratorio: ''in riferimento al primo aspetto [modi] di estrema importanza è la modalità di trasmissione del sapere (o dei saperi) intesa non tanto a far del destinatario un mero recettore quanto un elaboratore attivo e costruttivo. Occorre che la trasmissione favorisca il passaggio da uno stato di pura ricezione e passività ad uno stato in cui è il soggetto stesso a prendere l'iniziativa, ad interrogarsi, a mettersi mentalmente in movimento per arrivare personalmente a rendersi conto, a capire, a rispondere alle questioni. Senza questa attivazione delle potenzialità del soggetto-destinatario non si può parlare di una vera e propria trasmissione educativo-didattica del sapere, proprio perchè non si innesca quel processo in grado di favorire nella persona dell'alunno e dell'alunna un apprendimento significativo'' .

In gioco, come avverte lo stesso Laneve, c'è la capacità della scuola di essere una agenzia educativa in grado di favorire non soltanto la ripetizione culturale, ma anche la generazione di idee, entrambi motori di sviluppo, progresso e umanità: ''in altri termini, si tratta di sostituire una conoscenza meramente accumulativa e sommativa della conoscenza costruita attraverso la ricerca di materiali ricchi di temi problematici da cogliere come in una rete di relazioni complesse che aprono ulteriori problemi e spunti di riflessione piuttosto che fornire risultati conchiusi. Un itinerario che porta con sè una forte proposività, di innovazione costruttiva e creativa ed una visione multidimensionale in cui le disparità fra le molteplici prospettive e le pluralità degli aspetti sono intese come indispensabile riserva di fecondità e di ricchezza per l'intero impianto'' .

Potremmo allora scomodare anche il grande pedagogista Paulo Freire, che di scuola direttamente non si occupava, ma che era nemico dell'orientamento meramente ''depositario'' dell'educazione, per non incorrere nell'errore che un allievo sia sempre ''dentro'' il suo maestro, posseduto da lui .

Per quanto concerne i luoghi, è certo che ''l'utilizzo di materiali strutturati e di tecnologie non può non richiedere uno spazio fisico come uno dei suoi caratteri fondamentali: una scuola che non disponesse di spazi-laboratorio sarebbe giocoforza costretta a imprigionare nell'aula-classe il progetto didattico''(6).

Enrico Salati ci avvisa che pur non essendo definibile una volta per tutte, il laboratorio si connota di alcuni tratti peculiari e significativi: la fisicità (il laboratorio è il luogo dello scoprire facendo), la cooperazione (nel laboratorio si fa assieme e il gruppo è un luogo di apprendimento), la trasformazione (gli studenti plasmano, producono, documentano), la creatività (gli studenti inventano), la cognitività (il laboratorio è il luogo in cui si scoprono metodi e nozioni), la personalizzazione (nel laboratorio ciascuno scopre la propria strada) e l'originalità (ogni laboratorio sarà diverso dagli altri, ogni prodotto realizzato sarà una sorpresa anche per l'insegnante). Lo stesso Salati esorta a considerare il laboratorio una pratica auspicabile laddove l'apprendimento dello studente venga ritenuto un dato fondamentale.(7)

La scuola del fare, del porre problemi, del lavorare in gruppo, dell'avere un progetto nel corso del tempo ha guadagnato una propria maturità pedagogica, passando dagli imperativi spontaneisti e attivisti largamente presenti ancora negli anni Sessanta a una concezione caratterizzata dal rigore metodologico e dall'organizzazione a partire da sistemi simbolico culturali di base: il laboratorio, oggi, non è più una didattica di radicale opposizione all'insegnamento frontale, ma un'opzione metodologica di supporto a una scuola interessata alla crescita culturale e alla maturazione delle competenze. Essa inoltre richiede all'insegnate di interrogarsi profondamente rispetto alla sua postura professionale e ai metodi e paradigmi del valutare.

Il laboratorio, in definitiva, chiama in causa l'alunno e la sua capacità di fare esperienza in una situazione di tipo partecipativo, di confronto, collaborazione e produzione. Si tratta di termini che, confrontati con l'idea tradizionale dell'insegnamento sottolineano la necessità di superamento di una certa sofferenza nel pensarsi come luogo di progettazione didattica in cui la nostra scuola vive''

Perchè il laboratorio fra le opzioni didattiche?
-per predisporre le condizioni migliori perchè le competenze vengano esercitate e migliorate;
per moltiplicare le occasioni di osservazione e riconoscimento delle intelligenze degli studenti;
-per accompagnare processi di individualizzazione e personalizzazione dell'apprendimento;
-per prevenire il fenomeno della dispersione scolastica;
-per fare della scuola un luogo di anticipazione pedagogicamente controllata delle situazioni di vita e di lavoro, in cui i ragazzi possano esercitarsi in vista del loro futuro incontrando maestri di umanità;
perchè il lavoro è una categoria della struttura umana, dunque non può mancare in una scuola che punti all'educazione integrale dell'uomo.

Infine giova riflettere, nella società di oggi - che chiamiamo postmoderna - sull'opportunità che l'istruzione, intesa come sistema scolastico, riveda profondamente le modalità del ''fare scuola'', a partire dalla predisposizione degli spazi e da un serio investimento sulla professionalità degli insegnanti, perchè è probabile che una scuola che si percepisca ''luogo di detenzione del sapere'' tout court probabilmente servirà sempre meno in un mondo in cui l'imparare a imparare, la creatività e le capacità critiche di ciascun cittadino si riveleranno sempre più fondamentali. L'impegno deve andare non verso una ''scuola del sapere'', bensì ''una scuola del metodo''.

_____________________________________
(1) M.G. Caputo, Laboratorio, in J.M. Prellezzo, C. Nanni, G. Malizia, Dizionario di scienze dell'educazione, Elle Di Ci-L.A.S., Roma 1997, pp. 590-591.
(2) O. Gelmi, Il laboratorio nella storia della scuola italiana, in G. Bertagna (a cura di), Fare Laboratorio, La Scuola, Brescia 2012, p. 133.
(3) C. Laneve, Insegnare nel laboratorio. Linee pedagogiche e tratti organizzativi, La Scuola, Brescia 2005, pp. 5-6.
(4) Ibi, p. 7.
(5) P. Freire, La pedagogia degli oppressi, Ega, Torino 2002.
(6) C. Laneve, op. cit., P. 12
(7) E.M. Salati, Laboratorio, in C. Scurati (a cura di), Nuove didattiche, La Scuola, Brescia 2008, pp. 149-171.


Condividi questo articolo: