Viaggio in Finlandia. Note rigorosamente non scientifiche, ma scrupolosamente osservative


16 Ottobre 2009 | di Paola Cavallari

C’era da accompagnare una classe in scambio in Finlandia; e sebbene molte ragioni mi dissuadessero dall’impresa, la curiosità per il mistero del sistema scolastico finlandese mi portò ad accettare - insieme alla collega di inglese, l’organizzatrice del progetto- di accompagnare una classe (IV) del mio liceo.
L’istituto con cui eravamo in scambio era già stato “collaudato” per questi fini: si trattava di una general upper secondary school, situata ad Eura, un comune di circa 10.000 abitanti (cittadina-tipo nel contesto finlandese), più o meno a 200 km a ovest da Helsinki.[ Non sarà inopportuno ricordare che: la Finlandia ha una popolazione di 5 milioni di abitanti, con una densità media di 16 abitanti per Km², noi 190 abitanti.]
 
L’ arrivo: finalmente al cospetto di una scuola finlandese!
Dopo un lungo e faticosissimo viaggio, la mattina dopo il nostro arrivo, in una ridente giornata di sole scandinavo, in un ambiente [non posso raccontare, per ragioni di spazio, né della fascinazione del paesaggio né di quella del clima o dell’atmosfera] eravamo finalmente giunti a cospetto con una scuola finlandese.
L’ edificio scolastico, tutto su un unico piano, aveva l’aspetto molto razionale. Limpido, sobrio, pulito. Scritte sui muri o murales: nessuno. Era collocato in un vasto spazio verde (in Finlandia non fa certo difetto), dove le betulle signoreggiavano. Nella spianata al centro, un fiorire di biciclette dei ragazzi. Nessuna moto o vespa o cose del genere. L’interno era lindo, allegro - mi vengono in mente le immagini delle nostre scuole materne – ma soprattutto funzionale, con spazi comuni ampi: erano stati progettati e realizzati per essere luoghi confortevoli, luoghi di incontro. Infatti si trovavano qua e là divanetti, tavolini con sedie, scaffalature con pubblicazioni, molte stampe o foto alle pareti. Il tutto era arredato stile Ikea, naturalmente. I servizi igienici non scarseggiavano. In alcune zone vicino agli ingressi, sotto agli appendiabiti, per terra, si sarebbe potuto notare una nota di felice disordine: nella nuda semplicità donata dal fluire della vita, ribadiva un’aria familiare. Erano le decine e decine di scarpe che i ragazzi si erano tolti all’ingresso. In ogni casa in Finlandia , è buona regola togliersi le scarpe quando si entra. Ciò vale anche nella scuola. Ergo: essa non è sentita come qualcosa di estraneo, come potrebbe essere un ufficio pubblico. Gli stessi insegnanti hanno sandali o qualcosa di apposito da calzare all’ interno dell’istituto. (Fa un certo effetto vedere il preside, nell’esercizio delle sue funzioni, con le calze scure e i sandali di cuoio.)
Passiamo alla popolazione, composta sia da insegnanti che da allievi - ma non da personale ausiliario tipo i nostri bidelli: non esistono. All’arrivo, per prima cosa siamo state accompagnate nell’ area “dirigenza, amministrazione, aula professori”. Sarà stato anche per via del sole forte che brillava e scaldava – un evento assolutamente insperato, per essere la fine di aprile- ma l’aula professori mi è apparsa fresca, allegra, viva: anche qui dominava il colore chiaro, poi divani, molte foto del corpo insegnante (anche una degli anni 30) che lì aveva operato. Tutto voleva essere confortevole. C’era anche una zona cucina super attrezzata di apparecchi vari, molto frequentata. E mi viene da pensare quanto sia vera “dispensatrice” un’area di questo tipo.
Gli insegnanti presenti nella general upper secondary school di Eura al nostro arrivo si disposero con cordialità per il saluto di benvenuto. Così il preside e la segreteria. Un’attenzione che mi meravigliò. Gli insegnanti in servizio ad Eura sono 14 per 190 ragazzi .
Ancora uno sguardo alla sala insegnanti: i computer erano solo 2, che strano! ma poi scopri il perché. Ogni insegnante ha un’aula “sua”: è la stanza dove si svolgono le lezioni della sua materia. È come un’appendice dello studio della propria casa, ma nello stesso tempo è un luogo aperto agli studenti. L ’insegnante di inglese aveva per esempio le locandine del film Casablanca. Ogni docente – che fra l’altro possiede le chiavi della scuola- ha lì il proprio materiale di lavoro: il suo computer con i suoi files, i propri libri, riviste ecc. Dispone di una lavagna luminosa, e di altre sofisticherie tecnologiche - direi: lavagna elettronica-. Quando inizia l’ora di lezione di quel corso, gli studenti si aggregano davanti all’aula, un po’ come si fa da noi all’università.
Siamo andati a visitare la stanza dell’insegnante di storia: un luogo che assomiglia in parte a un piccolo laboratorio (con tanti oggetti alle pareti e sugli scaffali, prodotti da ricerche di ragazzi), in parte a un piccolo museo; ma in un’atmosfera vitale, dinamica. La stessa mattina, io e la mia collega abbiamo assistito alla lezione di inglese. I nostri studenti italiani erano mescolati nei banchi con i finlandesi, così come nei giorni successivi. Il docente ha dato informazioni, servendosi della lavagna luminosa, su alcune regole grammaticali (l’argomento era: conversione da discorso diretto in indiretto). Poi ha invitato i ragazzi a leggere alcune fotocopie che sono state distribuite, fogli contenenti esercizi: questi sono stati svolti con molta disinvoltura, voglio dire senza esigere il rigore di tempi e modalità particolari o di una applicazione individualizzata. Poi si è passati alla correzione ad alta voce. Era una lezione partecipata? Non sempre. A volte il docente consentiva agli alunni di intervenire, ma ho anche visto mani alzate che non trovavano “accoglienza”. Su questo argomento ritornerò.
 
Incontriamo il preside
L’incontro con il preside si è configurato come una vera e propria intervista, che la mia collega ha facilitato. Il dirigente era un “giovane preside” sui 45 anni ( l’età media degli insegnanti penso si aggiri sui 35 anni).
Nonostante la mediazione della collega “interprete”, la mia scarsa conoscenza dell’inglese e lo scarso tempo a disposizione non hanno permesso una comunicazione limpida. Non sono così riuscita ad ottenere una visione chiara del sistema scolastico finlandese. Ciò che egli ha ribadito parecchie volte è la marcata attenzione, a livello legislativo e istituzionale, di mantenere ed incrementare il prestigio e l’ organizzazione del loro sistema scolastico. Queste premesse sono apparse non solo le affermazioni di routine di un funzionario statale che svolge comme il faut il proprio compito, ma la voce di un sentire comune, di un convincimento autentico di base che sostiene la scuola finlandese. Era come se dicesse: la società crede nel nostro operare e ci affida un alto compito. Questo è il preambolo irrinunciabile. Poi ci ha parlato della “sua” scuola di Eura: è un istituto che si colloca sempre entro i primi 30 nella graduatoria nazionale. Gli insegnanti? sono molto motivati, le assenze per malattia sono molto poche, perché vengono a lavorare anche quando sono un po’ ammalati. Lo stipendio? Varia a seconda del tipo di orario che si sta effettuando in quello specifico mese lavorativo [il calendario scolastico non è omogeneo per tutto l’anno]: per un certo periodo il docente è chiamato a svolgere un servizio - ad es. di 10 ore- , per un altro periodo un altro- ad es. di 20 ore o di più. Ma varia poi a seconda dell’anzianità. All’entrata in servizio ci può essere –è il caso concreto di una persona- una situazione del tipo: stipendio di 1.800 euro per il periodo con meno ore, poi 2.400 per il periodo di più ore. I laureati vengono invogliati in vari modi per indirizzarsi alla professione insegnante.
Se dovessi entrare nel merito del complesso ( oserei dire farraginoso) sistema organizzativo della General upper secondary school, dovrei aprire un lungo paragrafo. Il lettore si rassegni : informazioni di questo tipo dovrà cercarle in altra sede. Racconterò invece che il preside ci ha dato informazioni molto chiare in relazione ad argomenti che lui sapeva essere per noi italiani argomenti un po’ spinosi. La loro scuola certo è piccola se paragonata alla nostra: solo 160 allievi. Quanti allievi in classe, durante il corso, dunque? Possono esserci anche pochi allievi, ma la media è 20, raramente 30 ( 40 è eccezionale). La scuola offre 190 giorni di lezioni all’anno. Non esistono casi di sopraffazione, violenza, arroganza nei confronti di compagni di classe o dei professori. Problemi di tale genere – sostiene il preside - se mai esistono, vengono affrontati alla comprehensive school, la scuola di base (basic education), di 9 anni, che va dai 7 ai 16 anni (Alla mia domanda “come?” non ha però risposto, andando direttamente ad un’altra questione). “Semmai abbiamo il problema di ragazzi troppo quieti, poco vivaci da ogni punto di vista”. Altro punto: spesso, quasi sempre, tra i ragazzi e gli insegnanti si usa il Tu piuttosto che il Lei. Questo perché avrebbe facilitato la relazione - il preside scivola via anche su questa questione, su cui mi sarei sentita di esprimere riserve. Altro punto: rapporti coi genitori. La riunione con loro è prevista all’inizio dell’anno, per presentare il programma e il resto. Si effettuano poi altri incontri solo quando si deve informare la famiglia che è bene “riorientare” il ragazzo, perché quel tipo di scuola sembra non essere adeguata. E nulla altro: nulla dei consigli, nulla dei rappresentanti dei genitori a qualsiasi livello. E nulla nemmeno della rappresentanza istituzionalizzata dei ragazzi. E nulla da segnalare nemmeno riguardo quella zona rossa rappresentata dalla relazioni genitori- insegnanti. Non accade quasi mai che i genitori critichino l’operato degli insegnanti. Può succedere per i supplenti, ma non è comune.
Ci sono i teacher-tutors : uno ogni 25 studenti, figure che hanno il compito di colloquiare con i ragazzi, per monitorare eventuali disfunzioni o casi di malessere esistenziale; i tempi sono: una volta la settimana, il lunedì per circa un quarto d’ora. Ce ne sono 6 in tutta la scuola. Esiste poi nel plesso l’insegnante che, oltre al suo ruolo didattico, svolge anche la funzione di psicologa e fa consulenze per i casi di fragilità.
Rispetto al tema “progetti”, il favore del preside è tiepido: mi dice : “Non attuiamo molti progetti fuori dal curricolo, perché stancano e stressano".
Le relazioni che fecero i miei allievi al ritorno da Eura hanno costeggiato questa sostanziale domanda di fondo: come si spiega che questi finlandesi siano al vertice delle classifiche OCSE-PISA? La questione rimaneva un punto interrogativo. Nelle loro frequentazioni alle lezioni, e si parla di livelli corrispondenti di competenze, è emersa un’impressione di sostanziale omogeneità, anzi, addirittura in alcuni casi, di superiorità delle competenze italiane. E concordavano con noi insegnanti nel dire che il tipo di didattica che noi sperimentiamo dà più spazio alla partecipazione attiva dei ragazzi, mentre là le lezioni sono per lo più di tipo frontale. Ma non si vede come questa sia una peculiarità che penalizzerebbe poi nei test. Alcuni hanno scritto che durante le lezioni qualcuno giocava per i fatti suoi coi cellulari o computers senza la minima reazione da parte degli insegnanti. Infatti la parola d’ordine è: non disturbare gli altri.
I miei studenti, poi, che hanno instaurato in taluni casi veramente ottimi rapporti di amicizia con i ragazzi e le ragazze finlandesi, dicono di sapere che le ore dedicate allo studio domestico non sono molte. E rilevano un individualismo e una certa riservatezza più accentuati che fra gli italiani. Il fatto che la scuola sia strutturata in una sostanziale libertà di scelta in fatto di materie è visto differentemente, ma quello che è indubitabile è che l’assenza delle classi ha una conseguenza anche spiacevole: nega o sfavorisce l’instaurarsi di legami fra giovani, impedisce una realtà (la classe) così significativa per il senso “d’appartenenza” e per consentire quella complicità così feconda per alleggerire un po’ le 5- 6 ore di una giornata scolastica.
Le lezioni della mattina durano dalle 8 alle 11,30, con intervalli tra un’ora e l’altra di 10 minuti. Al pomeriggio le lezioni vanno dalle 12, 10 alle 16 con intervalli tra un’ora e l’altra di 15 minuti. Quindi alle ore 11,30 pausa pranzo: tutti, insegnanti, presidi, e ragazzi si recano nella mensa. Questa ospita non solo i ragazzi dell’ upper secondary, ma anche quelli della comprehensive school, che in questo complesso comprende solo più grandi (dai 12 anni). Questo momento mi è apparso davvero rivelativo di una società assai diversa. I ragazzi, anche quelli più giovani, si disponevano in fila tranquilli, calmi; non certo impettiti come damerini, ma con una certa compostezza. Una volta dispostisi nei tavoli e per tutto il tempo del pranzo, in quell’enorme salone - dove noi insegnanti stavamo usufruendo degli stessi cibi e bevande a pochi metri di distanza da loro- si poteva percepire come l’effetto sonoro complessivo causato da quella massa di persone non fosse affatto stordente. Non credo che ci si sarebbe potuti immaginare altrettanto in una realtà italiana. Non c’erano ragazzi esagitati, non c’erano grida convulse, non c’era atmosfera “da stadio”. Erano degli adolescenti adulti. Certo ho pensato a lungo a questo squarcio di vita quando il nostro collega Petri, preoccupato di restituire una immagine più realistica della Finlandia, mi diceva: “Non dimenticare che abbiamo un alta percentuale di casi di suicidi, di depressione, di gesti criminali causati da “follia” improvvisa. E che anche qui , come malattie professionali, le patologie mentali sono le più diffuse tra gli insegnanti, “perché dopo il lavoro non ti puoi togliere il cervello”;...anche qui il mestiere d’insegnante mina l’equilibrio psichico, e molti si lamentano”.
Ahimè, emerge così un sommerso poco frequentato dalle statistiche.
Vedo il piazzale antistante inondato dal sole e popolate da decine e decine di bici: sono tutte senza sicura, senza lucchetti... nessun furto si registra mai, mi dicono, da queste parti. I bambini piccoli vanno a scuola in bicicletta con le chiavi di casa appese al collo. Nessuno gliele ruba, nessun furto nelle abitazioni e nessun caso di violenza sui minori, sembra. (Anche per quanto riguarda la prostituzione mi dicono che la maggioranza degli “utenti” si reca a Tallinn in Estonia). La curiosità per questi aspetti sociali, per intuire il loro legame con gli esiti nel successo scolastico si fa in me più intensa. Per esempio: non sembra irrilevante che bambini e ragazzi possano crescere in un ambiente dove la stragrande maggioranza osserva “senza insofferenza” le norme di circolazione stradale. Non è un dato riducibile al solo dato tecnico, ma concerne lo stile di vita che, mi appare, “non ancora” inquinato dalle lacerazioni del postmoderno. Infatti, in Finlandia si vive un ambiente a misura d’uomo: sia negli spazi urbani sia in quelli extraurbani, i mezzi in circolazione si muovono con un senso del limite che pare essere il segno palpabile di un’atmosfera non dimentica della relazione con l’altro, e per questo improntata alla cautela, se non della cura e attenzione per la comunità che si è avuta in custodia. Non dico che tutti i finlandesi siano cittadini perfetti, ma il mood che si respira è questo. Il contesto è tale da consentire ai genitori di fidarsi a lasciare uscire da soli i loro bambini: i ragazzi possono così autonomamente fare esperienze che incrementano e consolidano il senso di sé.
Alla cena a casa dei nostri ospiti - lei è insegnante, lui è dirigente d’azienda, persone giovani, molto vitali e con forte spirito critico- la conversazione si orienta sul tema del servizio militare, che in Finlandia è obbligatorio. Lui sostiene che una parte sempre più cospicua di ragazzi trova espedienti vari per evitarlo. E scuote la testa. Lamenta una situazione di crescente individualismo e disimpegno verso la società e verso la responsabilità pubblica. Ciò porterà ad un declino. Anche lei lo conferma, e aggiunge: è più la famiglia che la scuola ad aver creato questo disaffezione per la comunità. Altri segni vengono interpretati dai miei giovani ospiti nel senso di una forma di strisciante decadenza dei “buoni costumi di una volta”.
Alla visita al castello di Turku, antica capitale, incrociamo una classe di bambini delle elementari: sono quieti, educati. Non c’è vociare nemmeno nei vasti atrii.
Ho avvertito il lettore che non avevo dati oggettivi da snocciolare di questo viaggio in Finlandia. Solo impressioni. La dominante è che contino enormemente di più, al fine di una buona scuola, il sistema di valori simbolici condivisi e il contesto antropologico complessivo piuttosto che gli interventi settoriali cui siamo abituati quando parliamo di riforme in campo scolastico. So che ciò può risultare scoraggiante, ma almeno evita che si alimenti l’illusione che possano contare soprattutto formule, strategie innovative magari prese a prestito da qualche realtà. E concludiamo invitando i supporters delle soluzioni tecnicistiche, a una modesta riflessione suggerita da un grande scrittore: “I formulari anagrafici, del resto, hanno una strana peculiarità: spiegano ogni mistero della vita umana, le ragioni dei successi e dei fiaschi di ciascuno, ma basta un attimo, un rivolgimento di circostanze perché, invece di spiegarle, nascondano le cose, soprattutto le più importanti”. V.Grossman, Vita e destino.
 
 


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